III- L’AMORE MERCENARIO NELL’ANTICA ROMA
Nel mondo romano le attività di meretricio non erano poi tanto diverse da quelle che abbiamo analizzato nel capitolo precedente dedicato all’antica Grecia.
Del resto, come riportano vari autori, soprattutto Plauto e Terenzio, nel III e II secolo a Roma era di moda Pergraecari, cioè vivere alla greca, in contrasto con la severa morale dettata dal mos maiorum, il costume degli antenati.
Anche qui prostitute infime (lupae) che esercitano nei lupanari, passeggiatrici notturne che ad Atene venivano chiamate peripatetiche e a Roma noctilucae (lucciole).
La meretrix della Suburra, del Velabro , del Foro, di Trastevere o del Circo Massimo, cioè quella più economica ma anche più laida, viene denominata anche spurca (la zozza) o scortum (la pellaccia), da cui deriva l’attuale abusatissimo termine escort.
La sua tariffa va dai 2 agli 8 assi (4 assi facevano un sesterzio).
E’ obbligata a indossare una toga bruna, per identificare il suo ruolo e distinguersi dalle matrone o dalle ragazze per bene che indossano toghe bianche orlate d’oro e/o porpora.
Ai tempi di Petronio erano anche obbligate ad indossare una parrucca rossa (ricordate la sacerdotessa di Priapo del Satyricon?).
Il principale motivo per cui le norme imponevano un abbigliamento distintivo consisteva nel fatto che nel mondo romano, contrariamente a quello greco, le donne non erano costrette a vivere nel gineceo, ma potevano liberamente uscire per strada, case e negozi.
Punti comuni tra le due civiltà sono l’assoluto discredito e disprezzo per i lenoni (leni), la consuetudine di affittare per un certo periodo le prostitute più raffinate (danzatrici e suonatrici di cetra e di sambuca), l’esistenza di templi dedicati alla dea dell’amore e le feste in suo onore.
Nella capitale venne eretto, subito fuori le mura di Porta Collina, un tempio dedicato a Venus Ericina (Venere d’Erice, Santa Patrona delle meretrici) alla quale erano dedicate le Floralie (feste notturne che si celebravano dal 28 aprile al 3 maggio), nelle quali sfilavano, facendo striptease, le più belle puttane romane.
Sempre ad aprile (il mese di Venere), le devote della dea dell’amore sfilavano, recitando mimi, nella festa dell’Afrodisia, un’allegra fiera del sesso niente affatto clandestina che sottolineava le contraddizioni di un’epoca in cui, da una parte ci si richiamava al citato mos maiorum, dall’altra si celebrava Acca Laurentia, madre di Romolo e Remo e prototipo della lupa, in senso di prostituta, romana.
Da una parte gli irreprensibili Catoni (il Censore e poi il nipote l’Uticense), dall’altra la meretrice Precia, moglie del politico marianista Cetego, una delle donne più stimate e potenti del I secolo. ( ce lo racconta Plutarco nelle Vite parallele).
Uno dei luoghi clou dove si trovavano le asellae erano le taverne (popinae o thermopolia).
Le più famose locande-taverne della Roma repubblicana sorgevano dalle parti del Foro e del Circo Massimo.
Tra le più gettonate ricordiamo “ Alle rocce rosse”, “Al Pero”, “L’Elefante”, “Alle quattro sorelle”.
Qui si mangia, si beve, si gioca a dadi o a bocce, ci si fa il bagno e ci si riposa e si aspetta poi che l’asella (l’asinella,la ciuccia) salga in camera.
Cosa che non sempre avviene, come ben seppe a sue spese il povero Orazio bidonato da una servetta in una miserabile locanda di Benevento.
Per chi volesse approfondire l’argomento tabernae della Roma antica, suggerisco di leggere sia il testo, molto noto, del francese J.Carcopino (“La vita quotidiana a Roma”), sia il più specifico “Alberghi e taverne nell’antica Roma” del tedesco T. Kleberg.
Qualche accenno anche ai malcostumi dell’Impero.
In epoca imperiale, Roma è l’Urbe. Una metropoli sovraffollata, cosmopolita, in cui vivono più stranieri che romani, stando a quello che ci raccontano Giovenale e Seneca.
Proprio come sta avvenendo oggi nelle nostre civiltà, a Roma l’estrema miseria convive con la ricchezze ed il lusso più sfrenato.
Diverse carestie affamano il popolo di miserabili già vittima di incendi, epidemie e violenze.
Cesare Augusto assegna loro un Prefetto dell’Annona per organizzare la periodica distribuzione di grano in favore di quella “plebe frumentaria”.
La città sembra la Calcutta del ‘900, è sporca, rumorosa, caotica, pullulante di invalidi e mendicanti anche di tenera età.
Di notte si aggirano malfattori, ubriachi , mezzane e puttane. Quasi tutte schiave straniere.
C’è la Siriana, la Greca, la Frigia. Molte esibiscono una splendente chioma bionda “alla brettone” che ottengono con la tinta o portando la parrucca.
I profili di queste battone sono abbozzati da Properzio, Giovenale e Tibullo. Alla Suburra c’è il Submemmium, il viottolo delle scorta, sequenza di lerci tuguri il cui ingresso è appena velato da una tenda bucata per favorire i voyeurs.
E’ l’inferno di Roma, l’abisso ben descritto nel Satyricon di Fellini.
Ma, per i ricchi, c’è sempre il paradiso.
Ai banchetti romani, meno raffinati dei symposia greci, partecipano sia matrone evolute che donnine d’alto bordo. Fillide, Teia, Ida, Iustina le più note e poi le ricercatissime danzatrici di Gades (Cadice), con la loro inebriante musica iberica.
Non si può concludere questo capitolo senza un breve cenno ai celebri casi di nobildonne coinvolte, a torto o a ragione, in casi di prestazioni prezzolate o comunque di comportamenti molto lascivi e trasgressivi.
Partiamo da Giulia, la figlia del severo Augusto, che era così sfrontata e libera da tabù sessuali da partecipare ad orge ed avere numerosi amanti (vedi quanto riportato da Seneca, Dei benefici).
All’imperatore non restò che esiliarla in un isola sperduta, dove romane per ben sedici anni, fino alla morte.
Ma c’è anche il caso, meno noto, di Clodia (La Lesbo di Catullo), sorella di Clodio pulcher, la quale, secondo Cicerone, trasformò i giardini della sua villa in riva al Tevere in un vero postribolo.
Ma forse la fonte è inattendibile, perché Cicerone era un suo acerrimo nemico e a quei tempi li pettegolezzi e le diffamazioni andavano forte.
Anche per le vicende attribuite a Valeria Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, probabilmente si esagerò calunniando quella che forse fu solo una focosa fedifraga.
Giovenale, nelle Satire, ci dice che di notte usciva dal palazzo per andare addirittura a prostituirsi in un losco lupanare col nome di Licisca.
Altamente improbabile.
Di vero c’è che si innamorò perdutamente di Gaio Silio, il giovanotto più bello di Roma, e per questo venne punita con la morte assieme al suo amante. Scagli la prima pietra chi condanna questa giovane, bella ventitreenne che non amava il suo coniuge, ultracinquantenne basso, zoppo e per giunta balbuziente. Alma Venus, dea dell’amore invocata dal sommo Lucrezio, accolse certamente tra le sue braccia pietose la povera Messalina.
E nel tardo Impero?
Solo una breve annotazione storica: Nel suo “Corpus juris civilis” Giustiniano trattò molto bene le prostitute.
Del resto non poteva essere diversamente, dal momento che sua moglie Teodora in gioventù, oltre che far l’attrice e la ballerina, aveva anche esercitato questa …nobile professione.
…(continua)
Gabriele D’Amelj Melodia
I PARTE: PREMESSA E PROSTITUZIONE SACRA
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