08/11/2006

Cosimo Epicoco tra diversità e alterità. Di Domenico Saponaro


Il percorso artistico di Cosimo Epicoco, classe 1967, è caratterizzato da un’evoluzione lenta e continua, segnata da poche fasi. Questo per dire che, nel caso dell’artista pugliese (da dieci anni attivo a Ostia Lido), gli stadi evolutivi sono i momenti di una maturazione consolidatasi con ampia gradualità; e per poter affermare, dunque, che ciò rappresenta una crescita fondata su un’indagine meditata e approfondita, eticamente consapevole dei propri mezzi e delle proprie attitudini.
Superate le comprensibili velleità giovanili che improntano la ricerca di una sintassi autonoma - siamo agli inizi dello scorso decennio, Epicoco consegue presto una solida dimensione espressiva: l’impiego sapientemente combinato di carta velina, colla e colori in chiave informale, ossia quel modus operandi che per quasi dieci anni costituirà la cifra stilistica del suo lavoro.
Tale modalità creativa, dagli esiti assolutamente interessanti in termini di percezione foto-cromatica e di vibrante lirismo, è peraltro determinante sul piano dell’affermazione dell’artista di Ceglie Messapica anche fuori dei confini locali.
Esaurita la fase dell’astrattismo, da circa sei anni Cosimo Epicoco si rivolge ad una figurazione intesa come reinterpretazione – ma anche deformazione - dei tratti anatomici dei soggetti raffigurati.
“Per ragioni professionali Epicoco deve quotidianamente rapportarsi a persone la cui esistenza è stravolta da problemi psichici, anime sfigurate, figure smarrite. E’ una lunga convivenza con diversità interiori, con una molteplicità di disagi nei confronti del mondo esterno, quel mondo che esclude i brutti e diversi e accetta solo modelli di bellezza unicamente esteriore, spesso costruita e artefatta.
Da qui l’urgenza di mettere in discussione canoni estetici invalsi in quella che l’artista giungerà a definire una “società liquefatta”, una contemporaneità, cioè, che ha dissolto, sospeso i valori morali e reso il corpo “un misero involucro da difendere e indossare”.
In termini espressivi, Epicoco traduce questo suo approccio in un triplice momento creativo (ed espositivo): muovendo dalla serie del 2001 intitolata “Distanze” (dove il riguardante è impietosamente posto di fronte alla struggente bruttezza della diversità), attraversa la non meno estrema alterazione dei “Cloni” del 2005 per approdare alla più recente produzione, dal titolo “Pudico errato”, ultimamente esposti nella Galleria Tenuta Moreno di Mesagne (Brindisi).
La personale comprendeva tredici oli su tela, esito di una complessa operazione traslativa tra diversi supporti visuali, che ritraggono la bellezza femminile in chiave di esaltazione erotica. Torsi nudi - perfetti quanto anonimi e stereotipati - dai seni malcelati in una sorta di pudicizia tardiva e, appunto, “errata”, vengono esaltati dal primo piano su sfondo scuro; splendide modelle hanno il viso volutamente occultato dall’artista, messo in ombra in funzione della priorità dell’esibizione del bel fisico (a che serve scrutarne lo sguardo e i sentimenti?).
“ “Il corpo e la coscienza - scrive in catalogo Massimo Guastella, curatore della mostra e dell’intero calendario espositivo della galleria - sono violati, assorbiti e ammaliati dal velleitario sistema contemporaneo fatto di transitoria mondanità, che induce a modi comportamentali sempre contigui alla spettacolarizzazione, propagandistica del glamour femminile”.
Non sappiamo, né lo stesso artista credo possa dirlo, se questi lavori costituiscono (come sembrerebbe) un punto di arrivo, la tappa conclusiva di quel tragitto avviato sei anni fa, fondato sulla denuncia, in chiave di provocazione, dell’aberrante vacuità della società del bello – o imbellettato – ad ogni costo. Chi conosce Mimmo Epicoco, il suo vissuto artistico e professionale, il suo impegno civile, può tuttavia sostenere che solide basi etiche, lungi da ogni intento moralistico, continueranno a sottendere la valenza poetica ed estetica della sua ricerca creativa.
Questa bella personale, chiusasi lo scorso 22 ottobre, ha confermato l’elevato livello qualitativo di un progetto da poco avviato e giunto al secondo appuntamento, frutto dell’incontro tra un modo di fare impresa aperto (stavo per dire “illuminato”) e una ricerca storico – artistica seriamente rivolta ai più interessanti linguaggi contemporanei e ai suoi interpreti più significativi, doverosamente indulgente nei riguardi del mercato.

Domenico Saponaro

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